Tempio Italico
A poche centinaia di metri dal centro storico di Vastogirardi, in prossimità di una delle tre maggiori sorgenti che il sovrastante Monte Capraro offre, è stato individuato circa cinquant’anni fa un tempio italico. Tutti sapevano che in quelle rovine affioranti, ricoperte di rovi, vi era un tempo la chiesa di San Michele Arcangelo (Sant’Angelo), databile in epoca intorno al 1000 d.C.
Ma dai primi saggi effettuati, quella Chiesa, come gli stessi archeologi prevedevano, e primo fra tutti il prof. Adriano La Regina, era costruita su di un tempio italico che doveva essere riportato alla luce. I lavori furono affidati alla Università di Parigi nella persona del giovane archeologo Jean Paul Morel. In un paio di anni fu riscoperto il podio, al quale erano stati tolti tutti i blocchi in pietra che lo pavimentavano per costruire la torre di guardia del Castello di Vastogirardi, che avrebbe avuto, e lo ha tuttora, anche la funzione di torre campanaria della parrocchiale di San Nicola.
Pezzi di colonne, architravi e altri blocchi lavorati vennero sistemati a lato del tempio, databili alla seconda metà del II secolo a.C. I saggi sul terreno antistante il tempio rivelarono un’attività che si protrasse non oltre la prima epoca imperiale, quando oltre al precedente spopolamento dovuto alle distruzioni di Silla, incombevano le distruzioni delle guerre gotiche. Ed è proprio in quel periodo che l’arrivo dei Longobardi ricrea le condizioni per un nuovo ripopolamento, che spiega la costruzione del Castello, la costruzione della Chiesa di Sant’Angelo il cui culto fu tanto caro a quel popolo, e rende manifesto il radicamento al luogo di questa gente che riuscirà a resistere ben oltre la conquista normanna.
Le dimensioni del tempio sono identiche a quelle del “tempio A” di Pietrabbondante, come pure a quelle del tempio di Schiavi D’Abruzzo, seguendo quel rapporto lunghezza/larghezza dell’edificio che corrisponde al numero magico di 1,6 che ricorre in tante altre costruzioni, di tutte le epoche, ampiamente riportate dalla letteratura.
Fu anche ritrovata l’ara del tempio, di forma quadrata, recante una cornice laterale, dove su tutti e quattro i lati figurano alternativamente una ruota e la testa di un toro, troppo preziosa per lasciarla allo scoperto e alle tentazioni di “tombaroli” e perciò viene ora custodita sottochiave in ambienti museali presso l’area sacra di Pietrabbondante.
Si è poi conservata per secoli, nella tradizione popolare, la leggenda che in quel luogo fosse sepolto un tesoro, costituito da una chioccia con i suoi pulcini in oro. La stessa tradizione era viva anche nei confronti dell’area sacra di Pietrabbondante come in tanti altri luoghi pagani. Essa nasce evidentemente dal dono che il pontefice fece alla regina dei longobardi Teodolinda, oggi conservata nel Duomo di Monza, che viene ritenuta di manifattura bizantina o comunque tardo romana.
La presenza del tempio, unitamente alla presenza dell’acqua abbondante, che in determinati periodi può creare aree paludose, può far pensare che il tempio, anziché dedicato ad Ercole o a Diana come paventato, potrebbe essere invece legato al culto della dea “Mephiti”, di origine osca. Secondo alcuni, in epoca cristiana, questo culto sarebbe poi stato trasferito sulla Santa Felicia (nome proprio molto ricorrente nella zona) e infine sulla Madonna. Testimonianze analoghe sono riscontrabili sulla Madonna di Canneto di Settefrati e perfino ad Anderlecht, sobborgo di Bruxelles.
Ancora una volta siamo indotti a pensare che anche in epoca sannitica la piana di Sant’Angelo fosse il luogo dove ci si riuniva dalle zone di pascolo circostanti, per prepararsi alla ripartenza per la Puglia, per svolgere mercato e per la preghiera che gli dei proteggessero sia la comunità e sia gli armenti, in quel lungo cammino.
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